Il settore della new economy è pervaso da una sensazione di diffuso malessere, amplificato dalla congiuntura internazionale che non favorisce all’imprenditorialità del settore e di intravedere grandi prospettive future.
L’azienda informatica Z. di cui parliamo è sorta pochi anni fa sull’onda del boom di società come Tiscali, Yahoo, Google, divenuti veri imperi mediatici, del valore di milioni di euro, con un investimento di uomini e mezzi minimo. Immaginarsi che al top del suo valore il flottante di Tiscali era pari a quello della Fiat e con soli duecentocinquanta impiegati!
Le aspettative con cui l’azienda Z. era sorta erano davvero rosee; si confidava sulla decisiva portata innovativa del prodotto, sulla verginità relativa dell’area di mercato in cui si inseriva, sulle geniali intraprendenze dei quattro fondatori, geni dell’informatica; l’azienda sorgeva anche con un minimo di clientela che avrebbe reso immediatamente operativo il proprio lavoro – studiare sistemi software e strutturare e gestire siti web-. In effetti, il mercato non avrebbe smentito tali aspettative. L’azienda Z. inizialmente con una politica di dumping, resa possibile dal fatto che chi operava era anche proprietario ed aveva tutto l’interesse per lavorare molto con bassi margini, riusciva ad accaparrarsi una bella fetta di clientela. Iniziarono ad esserci le prime assunzioni di personale, per gestire la segreteria, prima, per alimentare il mercato e monitorare le commesse, dopo. Anche gli addetti al lavoro più propriamente informatico aumentarono; infine, anche perché nel frattempo l’azienda aveva affittato una sede più prestigiosa e spaziosa, si volle estendere l’iniziativa – aprendo un’altra società – all’assemblaggio e alla vendita di sistemi informatici.
In totale, nel 2001, in questa azienda erano stati assunte venti persone tra periti informatici, addetti di segreteria, addetti commerciali, tecnici; gli stipendi erano in linea col mercato ed equiparati in relazione alla mansione svolta – gli informatici avevano lo stesso stipendio tra loro, e così via anche gli altri -.
La crisi della Z. era in agguato dopo quasi un lustro di crescita media del fatturato del 50% annuo, e nel 2002 il famigerato budget non venne neppure sfiorato. Sia chiaro che l’azienda non era in perdita, ma la dirigenza – i quattro soci – comunicarono in una riunione del personale, promossa con un’enfasi inusitata, la situazione economica nella quale l’azienda versava.
Prima ripercussione sui lavoratori, veniva annunziata la “fine delle ore straordinarie retribuite” e si paventava l’ipotesi di orari “più flessibili” ovvero lavorare di più e senza supplemento economico qualora ce ne fosse stato bisogno per compensare i momenti di minore impegno. Quindi, se la congiuntura fosse perdurata, si sarebbe resa possibile una ‘contrazione della forza lavoro’, affermazione che al di là della gergalità economistica fece rabbrividire gli astanti.
Dopo questa fatidica riunione gli umori generali cambiarono.
Andrebbe sottolineato che tutti gli addetti dei vari comparti erano stati assunti tramite conoscenza personale dei soci. Alcuni erano amici con cui uscivano di sera e si scambiavano visite con mogli e fidanzate. Il clima di assoluta convivialità li conduceva a vivere ulteriormente agli orari lavorativi la propria struttura e gli uffici, ed il primo anno nella sede nuova si festeggiò assieme anche la notte di San Silvestro. Tutti avevano la propria scrivania – che gareggiavano nel personalizzare – ed il proprio telefono che potevano usare liberamente. Gli orari del mattino erano anche flessibili poiché ognuno di loro era consapevole dell’eventuale problema del collega che, sicuramente, avrebbe senza controllo ottemperato al proprio tempo di lavoro.
La situazione idilliaca, come un bel giocattolo, si ruppe dopo la “riunione”. Infatti, il clima giocoso con cui si intraprendeva il lavoro mutò immediatamente ma nessuno ebbe a commentare le comunicazioni offerte dai quattro soci; al di là delle succitate due frasi riferite durante l’incontro con i dipendenti, i proprietari non avevano inteso usare toni allarmistici, piuttosto complici e di condivisione – anche se non avevano ottenuto l’effetto sperato -.
La pizza comunitaria del sabato sera cessò di essere, primo segnale ineludibile della trasmutazione relazionale. Silenzio ed efficienza pervasero l’ambiente di lavoro. L’orario di inizio del lavoro fu rigorosamente osservato da tutti, come quello di uscita.
Non ci furono altre comunicazioni da parte della dirigenza ed il lavoro sembrava procedere efficacemente con modalità tali relazionali inedite che venivano pian piano metabolizzate. Dopo un paio di mesi, l’amicizia che c’era un tempo si era trasformata in una cordiale colleganza, rispettosa ed efficiente; le vecchie serate conviviali erano un lontano ricordo.
Di colpo, però, un gruppo di impiegati – due informatici e quattro ragionieri – incominciò a mostrarsi lavorativamente svogliato, in alcuni casi assenteista; questi, tra di loro un paio tra i più valenti e affidabili in passato, dichiararono di non essere più disposti a fare straordinari; gli stessi sei parevano inspiegabilmente coalizzati contro la dirigenza e gli altri colleghi.
Dopo un ulteriore mese, tale situazione convinse gli amministratori della Z. a fare ricorso ad una analisi relazionale nel tentativo di comprendere i motivi del risentimento per resettare il sistema azienda.
Già dalle prime interviste ai dipendenti si comprese che non sarebbe stato facile comprendere quale ulteriore causa fosse occorsa per scardinare il clima laborioso che si era sempre mantenuto, anche a dispetto dei raffreddati rapporti umani.
I dipendenti correttamente impegnati ammisero che le comunicazioni ed i “modi” mostrati dai quattro soci-proprietari durante la riunione avevano raffreddato il clima amichevole ma non vedevano atteggiamenti ostili in nessuno dei colleghi “tutti sempre impegnati per svolgere al meglio il proprio lavoro”.
I sei in questione si mostravano sicuri che tutto fosse come prima, addirittura ostentando una fraterna amicizia, e addirittura negando che la famosa “riunione” avesse causato in loro qualche malumore – cosa peraltro ammessa da tutti gli altri! -.
Il motivo del cambiamento di umore dei sei fu scoperto solo casualmente da chi scrive: tutta colpa delle sedie girevoli!
Era accaduto che tempo addietro, i dirigenti avessero cambiato le sedie girevoli dietro le scrivanie dei dipendenti. Però, si diede ordine al mobiliere di non constatare lo stato di degrado della poltroncina, ma il funzionamento del sistema di regolazione della seduta e dello schienale: ebbene, i sei dipendenti facinorosi erano gli unici che non avevano visto sostituire la propria poltroncina. Da ciò dedussero che la dirigenza non aveva intenzione di investire su di loro, presentendo la possibilità di un licenziamento a dispetto del loro impegno. Di conseguenza, ne derivò il sentimento di autoesclusione dalla relazione.
La sostituzione delle sei sedie con altrettante nuove ed un piccolo party a sorpresa organizzato dai quattro soci – durante l’orario lavorativo – contribuì a ristabilire l’equilibrio perduto in una sola mezza mattinata.
Nicola Tenerelli