Il sottoscritto dott. prof. Nicola Tenerelli ha ricevuto incarico dall’avvocato XXXXXXXX di operare una analisi relazionale di sistema sul piccolo Carletto, sette anni, figlio della sig.ra XXXXX nata il XXX 1977 a XXXX, attualmente sottoposta alla misura della custodia in carcere presso la XXXXX, di cui l’avvocato XXXXXXX è difensore di fiducia; il padre del bambino è XXXXX, nato il XXX 1975 a ed ivi residente allo stesso domicilio, attualmente sottoposto alla misura della custodia in carcere presso XXXXXXXXX.
Il bambino è affidato ai nonni materni dal mese di Dicembre 2006.
Occorre precisare che l’intervento dell’analista è stato richiesto per elaborare una interpretazione in chiave sistemica del soggetto e non per determinarne in via etiologica una riproposizione relazionale, anche se qualche consiglio in tal senso è stato espresso. Più semplicemente, chi scrive ha analizzato il vissuto del soggetto nella sua dinamica introspettiva ed anche relazionale per mero scopo descrittivo e non al fine di un intervento correttivo delle cause disfunzionali.
Il bambino è stato osservato nei giorni: 9 e 12 marzo XXXXX, dalle ore 19.00 alle ore 20.00.
- Carletto è un bambino che ha compiuto sette anni nel mese di marzo; ha una fisicità che ostenta un’età superiore anche grazie ad un paio di lenti che lui ha messo senza protestare e che indossa regolarmente. Nel suo primo incontro con l’analista lasciò credere di frequentare la prima media mentre si è appena iscritto alla prima elementare.
Il suo abbigliamento è anche indicatore di questa sua tendenza ad apparire più grande, il capello a spazzola ed il look hip hop tipico degli adolescenti di ultima generazione che ascoltano la musica dei rapper americani, tranne per il fatto che Carletto non ascolta musica. Carletto possiede una minimoto a benzina e racconta di guidare l’auto col permesso del nonno.
Far alzare lo sguardo di Carletto è un’operazione difficile, ogni volta occorre riconquistare la sua fiducia di bambino estremamente ritensivo, felice di ricevere in dono qualche caramella.
Luogo per l’incontro del bambino con l’analista è stato lo studio dell’avvocato, posto che purtroppo il bambino conosce bene poiché viene regolarmente portato con i parenti, soventemente necessitanti di consulenze legali; tale luogo è stato da che scrive considerato non condizionante come le mura domestiche e nemmeno freddo ed aggressivo come lo studio dell’analista.
Le sue ore invernali di bambino le passa davanti alla televisione, la sua passione il manga Dragon Ball di cui possiede anche il gioco da tavolo; al primo pomeriggio dopo aver fatto i compiti – frequenta per un’ora un doposcuola – accende il televisore per guardare il cartoon Tom & Jerry; la sera gli capita spesso di vedere film violenti di cui ha paura e che «non lo fanno dormire di notte».
A tal proposito ricorda un fatto, non sa dire se è stato un film oppure un sogno, in cui «uccidono i bambini nei buchi e uccidono la mamma vicino alla barca».
Carletto vive in una villetta nella campagna tra XXXXXX, ha la disponibilità di uno spazio per il gioco ma è evidente che non può vedere altre persone tranne i nonni materni con i quali vive.
La formazione esplicita che può ricevere nella famiglia è davvero limitata in virtù del contesto esistentivo descolarizzato; l’educazione implicita è probabilmente disvaloriale se dovessimo considerare le argomentazioni a cui Carletto assiste passivamente ed i contesti ambientali.
Oltre ai compagni di scuola, fa la prima elementare, a volte frequenta alcuni cuginetti molto più piccoli di lui. Saltuariamente, Carletto è portato in piscina ma lui non gradisce quell’attività perché una volta è rimasto sottacqua e gli è mancato il respiro.
Il bambino ricorda che in quell’occasione ha pianto.
Piangere è una reazione che Carletto non conosce più, il nonno ha ammesso che «questo bambino non piange mai»; Carletto non solo non piange ma non fa capricci, non pretende nulla, non litiga mai con gli altri bambini anche se possiede il senso della proprietà nei riguardi dei suoi giocattoli che non vorrebbe fossero toccati; Carletto mangia tutto ciò che gli si offre anche se predilige le patatine fritte; è un bambino ordinato, si veste e si lava da solo; Carletto è assecondante ed accoglie a testa bassa tutto ciò che la nonna gli dice di fare.
La nonna ha espressamente dichiarato di sentire il bambino «come se fosse suo figlio» ed infatti quando parla al nipote intercala i suoi consigli con l’allocuzione dài a mamma, mostrando il tentativo di sostituirsi alla madre naturale benché il bambino si rivolga a lei chiamandola, con accento XXXXXX, la nonn.
La figura maschile del nonno è apparsa decisamente periferica e non significativa nel processo di crescita del bambino; in verità, parlare di tensione formativa per il soggetto in questione è alquanto ottimistico: il bambino mostra uno sviluppo linguistico decisamente infantile che non corrispondente alla sua età.
Carletto ha un severo ritardo grammatologico e una limitatezza semantica; la sua sintassi infantile può essere anche causata dalle competenze limitate che ne determinano il relativo costrutto ma, a parere di chi scrive, la situazione esistenziale di Carletto non favorisce il superamento del gap che invece potrebbe aumentare.
Ad essere sotto esame sono la percezione nonché l’interazione comunicazionale tra adulti e bambino che compromettono non solo la padronanza strettamente linguistica, ma anche l’evoluzione degli schemi di azione.
Il gap di Carletto è alquanto evidente sia nella sfera comunicativa in generale, sia nella competenza semantica che consente di attribuire significato ai termini, ma soprattutto nella valenza pragmatica del parlato (intesa come capacità di fare cose con le parole).
Il problema che è stato analizzato rispetto all’utilizzo olofrastico delle parole (con una parola Carletto sostituisce la frase) non è relativo al mero ritardo evidenziato ma al tentativo di Carletto di comprimere i sentimenti dietro l’inadeguatezza del suo vissuto semantico: non impegnandosi ad essere più chiaro, il bambino evita di rendere più complessi i suoi processi comunicazionali per impedirsi di cogliere pienamente il senso di quello che gli accade intorno: evita di parlare per evitare di raccontare a se stesso e di capire ciò che gli succede.
Il suo vissuto emotivo e intellettivo viene così castrato da una dinamica di regressione, che si evidenzia nel linguaggio, rispetto ad una fuga dalla realtà che il bambino sta mettendo in atto.
Tale fenomeno è evidentissimo nelle parole mancate che Carletto si impedisce di esplicitare.
Tantissime volte il bambino manca di riferire una parola o un discorso che avrebbe voglia di portare fuori ma che egli stesso castra, censura –e che in futuro sarà anche in grado di rimuovere dando vita ad un vissuto traumatico interiore foriero di chissà quali potenziali psicopatologie-. - Il bambino è stato sottosposto a giochi di proiezione per esplicitare il suo vissuto di relazione ed il suo mondo emotivo.
L’abilità espressa da Carletto nel disegno è tipica della fase di età di appartenenza, tra i cinque ed i sette anni (l’età cosiddetta del realismo intellettuale ad usare la classificazione di Gerard Luquet): seppure mostrando una abilità manuale insufficiente, la raffigurazione dei soggetti è proporzionata e particolareggiata.
Nel disegno Foglio 1 (allegato) è stato chiesto a Carletto di rappresentare una festa qualsiasi e di invitare tutti coloro che avesse desiderato; inizialmente sono stati raffigurate piccole figure che Carletto ha elencato e descritto come i suoi cuginetti; alcuni piccoli personaggi sono stati cancellati senza che il bambino volesse dare spiegazioni ulteriori, «non li voglio più ». In questo disegno che il bambino descrive come una sala con palloncini non ci sono stati inizialmente adulti, per cui l’analista ha invitato il bambino a disegnarli: dopo tale sollecitazione sono state disegnate le due figure alte al centro del foglio, le due zie ed in basso, affianco alla torta con il numero 7 (gli anni che Carletto ha compiuto da poco) si è disegnato egli stesso con una rappresentazione piccolissima. Alla richiesta di invitare la nonna Carletto ha risposto che «non c’è posto» né ha mostrato voglia di invitare altre persone (i genitori non vengono menzionati).
Appare evidente che il bambino tende a far scomparire le figure di riferimento normativo del suo vissuto: i bambini e tutt’al più le zie (una è madre dei cuginetti) rappresentano il vissuto proiettivo del tempo della festa, il rifugio della fantasia dove tutto è a dimensione di bambino che non vuole soffrire.
Gli elementi della sofferenza sono così negati al punto che Carletto inizialmente esclude anche se stesso: infatti anche lui è motivo per egli stesso di dolore così come lo sono la nonna ed i genitori.
La nonna è estremamente centrale ed onnipervasiva, fagocitante di ogni autonomismo del piccolo; i genitori, estremamente periferici per via dei loro problemi giudiziari, sono avvertiti da Carletto in modo ambiguo, con un sentimento ondivago di amore filiale che lascia il posto al sentimento di solitudine e di astio per una specie di tradimento che hanno compiuto ai suoi danni poiché l’hanno abbandonato.
Il bambino è a conoscenza del luogo dove sono i suoi genitori ma non lo vuole dire: alla domanda «Lo sai dove sono mamma e papà? » il bambino fa sì con la testa ma non vuole dirlo poiché tende a negarlo a se stesso, a dimenticare la sua realtà di abbandono e solitudine rifugiandosi in un vissuto infantile fatto di comunicazioni semplici o interrotte, di parole negate non solo a coloro che gli stanno attorno, ma soprattutto a se stesso. La figura piccolina (figura A) è la percezione che Carletto ha di sé, tanto adulto in apparenza con il suo look adolescenziale, la sua minimoto e la sua voglia di guidare, che però nasconde la sua precarietà esistenziale, fatta di accettazione e di sopportazione di un vissuto che è reso meno traumatico poiché il bambino lo lascia scivolare via, negando il significante drammatico che la sua vita di bambino-non-bambino possiede.
Carletto sente i genitori, per telefono e separatamente, un paio di volte la settimana, e sembra che gli riferiscano unicamente e sistematicamente di «fare il bravo e di essere bravo a scuola»; il bambino riferisce che i genitori «chiamano sempre quando lui è al doposcuola»: forse è quel che gli dicono, ma è più probabile che sia la verità che lui vuol credere per sentire maggiormente la vicinanza di mamma e papà, costruendo un fantasmatico genitoriale di tipo kleiniano che lo aiuti ad anestetizzare il dolore dell’abbandono. - Carletto è stato indirizzato verso un altro disegno proiettivo che mette in evidenza il suo potenziale di frustrazione e di azione mancata (allegato Foglio 2).
Considerando il suo attaccamento al manga Dragonball l’analista ha suggerito al bambino di essere sul pianeta Nemec e di raffigurarsi egli stesso (figura A) alle prese con un combattimento con un personaggio verde che vuole distruggerlo (figura D); è stato suggerito di inserire mamma (figura C) e papà (figura B) in questo combattimento. La cosa immediatamente evidente a chi scrive è stata la linea sotto i piedi che unisce le figure A, B, C, ovvero Carletto ed i suoi genitori: secondo L. Corman, tale linea rappresenta lo spazio comune, la realtà condivisa, l’alleanza affettiva che evidenzia la famiglia nucleare.
Altro particolare assai espressivo è dato dalla rappresentazione di se stesso, con un corpo più grande di quello dei genitori, posto al centro a difesa di mamma e papà dal mostro.
Carletto sente in sé il bisogno di difendere i genitori, nel suo immaginario qualcuno vuole fare male a mamma e papà e lui vorrebbe salvarli. A questo punto l’analista ha detto a Carletto che uno dei personaggi sarebbe stato colpito da una sfera energetica ed il bambino ha risposto che tale sfera avrebbe colpito il mostro. Chi scrive ha detto che sarebbe stata in arrivo una seconda sfera energetica che avrebbe colpito un altro personaggio: Carletto si è fatto colpire dalla sfera energetica per salvare i genitori rendendo esplicita l’intuizione che già era possibile evincere dal disegno, ovvero del senso di protezione che il bambino avverte nei confronti dei genitori. L’analista metteva in evidenza che se il mostro era già stato fatto fuori dalla prima sfera energetica, la seconda sfera che aveva colpito Carletto, doveva essere stata sparata per forza da uno dei personaggi rimasti: la mamma oppure papà avevano sparato la sfera che lo aveva colpito. Il bambino inizialmente non ha risposto, ma dopo un po’ ha indicato col dito la figura B del padre, dicendo: «è stato papà ma non l’ha fatto apposta»; chi scrive, quindi, cancellava la croce che era stata fatta su Carletto (figura A) per cancellare simbolicamente il danno che il padre aveva fatto al bambino.
Come detto Carletto sente la mancanza della sua famiglia nucleare. Probabilmente gli è stato detto di fare il bravo per non addolorare mamma e papà; forse qualcuno gli ha addirittura detto che i genitori sono lontani siccome ha fatto il cattivo, sviluppando nel soggetto un senso di colpa che Carletto vuole tacitare con un comportamento ipercorretto, irreprensibile, con un’accettazione totale del mondo adulto che gli si impone nelle figure del nonno e, soprattutto, della nonna. Carletto si sacrifica per i genitori nella speranza di poterli aiutare e per realizzare ciò cerca di mostrarsi più grande nell’aspetto; nel contempo, per soffrire di meno cerca di rimanere piccolo nel cuore e nella mente, impedendosi la piena comprensione di ciò che gli accade intorno. È normale che il bambino iperprotegga la mamma mettendola in fondo al disegno; Carletto però preferisce farsi colpire dal padre piuttosto che colpire il padre (com’è tipico dei bambini maschi a causa del loro complesso edipico), traccia mnestica del suo senso di colpa nei confronti di genitori. - Possiamo confermare che ogni momento del proprio vissuto Carletto lo rilegge in modo tale da amplificare i suddetti sensi di colpa che lo fanno sentire colpevole della lontananza dei genitori.
Chi scrive ha più volte detto al bambino di riferire se avesse qualche problema o qualche desiderio da sottoporgli.
Il piccolo ha sempre negato di aver bisogno di aiuto con un diniego del capo: ha sempre accettato di buon grado che durante gli incontri la nonna fosse allontanata.
All’invito dell’analista, fatto al bambino a bassa voce e nell’orecchio, di scrivere l’eventuale problema sofferto sul foglio di nascosto, Carletto prima scriveva e poi cancellava: «Cosa hai scritto?» gli si chiedeva, ma il bambino si trincerava nel suo mutismo. Sembrava poi che sotto quella scritta sbarrata (foglio 2 in basso a destra) ci fossero le parole: festa e mamma. L’ennesimo dramma del bambino che non ha potuto avere con sé la madre per la sua festa di compleanno, oppure il senso di colpa per non averla invitata-inserita nel suo immaginario della festa.
In conclusione
Alcuni studi hanno dimostrato come i figli lontani dai genitori tendano ad essere dei solitari. L’esperienza fantasmatica del rifiuto entra in gioco per nutrire tale sentimento di solitudine. Può darsi che i figli lontani dai genitori continuino a sforzarsi per ottenere la riconciliazione dei genitori, tentativo che nella percezione di tali bambini è condannato al fallimento.
Lo psicologo Phillip Shaver ha notato che quanto più piccoli sono i bambini abbandonati, tanto più soffrono di solitudine: a sette anni il bambino non è attrezzato cognitivamente per capire il perché i genitori si sono allontanati e incolpa se stesso per non essere stato in grado di tenerli vicini. Secondo Steven Asher, psicologo dell’educazione dell’Illinois University, allo stato di solitudine segue inevitabilmente una ricaduta in atteggiamenti violenti: i bambini solitari sono rifiutati; tali bambini cercano comunque di imporsi in seguito con l’aggressività.
Il piccolo Carletto sta sviluppando questi sintomi che sono soltanto il momento iniziale di una crescita disfunzionale; i suoi sensi di colpa tendono a crescere autopoieticamente in virtù del continuo fallimento del tentativo di un riavvicinamento genitoriale. La sua impotenza lo frustra e lo fa sentire sempre più incapace e colpevole. La sua strategia autodifensiva inconscia è rappresentata sia dal tentativo di rimanere piccolo per non capire (far finta di non capire); e sia con la comunicazione mancata, evitando di parlare dei suoi drammi per non alimentarli anche consapevolmente (i drammi interiori Carletto li nutre continuativamente in modo inconscio).
Il suo senso di inadempienza lo esplicita con l’estrema disponibilità all’accettazione del mondo adulto e prevaricante, subìto pazientemente nella speranza che possa servire a restituirgli i genitori, nel contempo unica maniera per assecondare i desideri di papà e mamma quando riesce a sentirli (fai il bravo! gli dicono soltanto); la supina accettazione quale cilicio che il bimbo deve vestire per espiare la colpa dell’allontanamento dalla famiglia nucleare.
La sua comunicazione tende a ridursi all’essenziale, inducendolo verso una solitudine che si nutre di televisione e videogiochi, di capo supino e di ascolto passivo che non prevede pianti, urla e strepiti come per gli altri bambini; atteggiamento accettante che pertanto cova una reazione abreativa che presto o tardi deve necessariamente essere veicolata nel fuori-di-sé del soggetto.
Quanto per più tempo questo comportamento di negazione del vissuto, un’autentica fuga dalla realtà, il bambino tenderà ad alimentare, tanto maggiore sarà la vis traumatica inconscia che sedimentandosi, potrebbe innescare potenzialità socialmente disorganiche e sindromi dissociative.
Appare ovvio a chi scrive che il piccolo Carletto necessiti di un ricongiungimento con la famiglia nucleare che blocchi tale disfunzionalità caratteriale in itinere, e che permetta al bambino di crescere, almeno dal punto di vista affettivo, in modo sano.
PS: i disegni non sono stati inseriti per tutelare l’anonimato del bambino.
Nicola Tenerelli